Circa 3mila pale giganti stanno per invadere l’isola, rischiando di compromettere in modo irreparabile la situazione boschiva e ambientale sarda, un patrimonio archeologico unico al mondo e di penalizzare turismo e comparto agroalimentare. Lo scrittore Fiorenzo Caterini, in un saggio, ricostruisce il drammatico periodo del saccheggio dei boschi da parte dei Savoia. Come allora, anche oggi, con questo assalto eolico, la Sardegna è considerata solo terra di conquista, senza nessun rispetto per la sua bellezza e i suoi abitanti
Sardegna, incrocio strada Santa Giusta-Arborea: immagini di centinaia di alberi abbattuti e ridotti in polvere sul posto. È quello che sta avvenendo anche in altri luoghi dell’isola. I video amatoriali girati sulle operazioni in corso, stanno facendo il giro dei social, suscitando preoccupazione e sdegno in tutti gli abitanti. Una nuova devastazione del patrimonio boschivo è in atto nell’isola, per fare spazio alle pale eoliche giganti e ai parchi fotovoltaici che, da qui ai prossimi anni. invaderanno tutto il territorio, senza badare alla presenza di siti archeologici, foreste, colture, centri abitati, animali.
Una quantità impressionante di richieste dall’Italia e dall’estero
Lo prevedono gli oltre 800 progetti pesentati da società italiane ed estere al ministero, con la richiesta di connessione al sistema energetico nazionale, al fine di ottenere incentivi e rimborsi. Un totale di quasi 3 mila pale giganti e pannelli fotovoltaici deturperanno i paesaggi, il mare e l’habitat della Sardegna, senza apportare nessun beneficio all’economia e all’approvvigionamento energetico dell’isola, per una produzione di gigawatt di elettricità che supererà di ben 7 volte l’obbiettivo da raggiungersi nel 2030, come ha rilevato la stessa Soprintendenza speciale per il PNRR a novembre dello scorso anno.
Questa tuttavia non è la prima volta che l’isola si trova a subire uno sfruttamento delle proprie risorse che genera distruzione nel territorio della regione e vantaggi solo agli speculatori stranieri. Già nell’Ottocento, infatti, la Sardegna aveva dovuto subire un grave assalto esterno e la devastazione definitiva del proprio, allora rigogliosissimo, patrimonio boschivo. Una ferita viva e urente ancora oggi, della quale ha sapientemente raccontato Fiorenzo Caterini, scrittore e antropologo, nel suo accurato libro “Colpi di scure e sensi di colpa – Storia del disboscamento della Sardegna dalle origini ad oggi“, Carlo Delfino Editore. Un saggio che arriva nel momento giusto, perchè , come diceva Primo Levi, “tutti coloro che dimenticano il loro passato, sono condannati a riviverlo”.
Lo scrittore era presente ed è intervenuto anche alla grande manifestazione di protesta che si è tenuta, il 15 giugno scorso, sull’altopiano della basilica di Saccargia, a Condrongianos. Gli abbiamo rivolto alcune domande sul suo saggio, per capire meglio se, e perchè, la storia si sta ripetendo di nuovo oggi.
Nel suo libro racconta la storia della profonda ferita inferta alla Sardegna durante l’Ottocento: la distruzione dei boschi dell’isola, che da florida, ricca di risorse e ricoperta di foreste come era, si trasforma in una terra arida ed economicamente povere. Chi furono i responsabili di tutto questo e perché avvenne?
Gli umani cercano sempre dei responsabili, per scaricare la frustrazione quando qualcosa va male. Sicuramente, sul piano politico, possiamo dire che la responsabilità fu dei Savoia, che peccarono, tra le altre cose, di irriconoscenza, considerato che dai sardi avevano ottenuto il titolo di Re. Ma per oggettivare una dinamica assai complessa, possiamo dire che se il “mercato” non viene governato e soprattutto viene introdotto in un sistema economico che ancora non è pronto, produce dei danni devastanti. La privatizzione delle terre, infatti, operata dai Savoia con le riforme di cui il famigerato “Editto delle Chiudende” è stata la legge più eminente, fu il grimaldello per il saccheggio dei boschi dell’isola da parte dei privati.
Nel libro sottolinea quanto fosse stretto e vitale sino a quel momento il rapporto degli abitanti con i boschi. Quali furono le conseguenze di questo massiccio disboscamento per gli
abitanti e per l’economia dell’isola?
La rottura quasi totale della relazione con il territorio, con le risorse, con la natura. Il bosco, da complesso e vivo apparato simbolico e funzionale al reperimento diretto delle risorse per la vita quotidiana, si trasformò in un contenitore di legname, una massa geometrica e matematica con una cifra impressa sopra. Fu un processo traumatico, tipico del passaggio all’epoca moderna, ma che in Sardegna ebbe una evoluzione repentina con dei danni che restarono impressi nella memoria e nella letteratura, basti pensare alle poesie che ricordano quegli eventi o ai romanzi di Grazia Deledda.
Lei fa un interessante parallelo con la deforestazione in Amazzonia. Quali sono gli elementi che accomunano le due situazioni?
Anche nella foresta amazzonica l’economia di mercato spinge per reperire legname e terreno utile per la produzione di carni, passando sopra le popolazione che ci vivono, come se fossero un inutile fastidio, e per questo perseguitate, un po’come si fece con i pastori rivoltosi dell’epoca in Sardegna, trattati come “banditi”.
Ha raccontato che in Sardegna non c’è stata solo la deforestazione a creare una grave situazione per l’habitat e l’ecosistema dell’isola, un vulnus impossibile da sanare nei sardi, anche altri interventi esterni hanno destabilizzato e provocato gravi danni a livello ambientale. Ce ne accenna?
Dopo il disboscamento dell’isola, un disboscamento speculativo e industriale che si è dipanato per tutto l’800, con una rapina che ha ridotto di quattro quinti la superficie boschiva dell’isola, che all’epoca ammontava al venti per cento circa, la Sardegna, come una qualunque colonia del pianeta, si è avviata verso la monocoltura ovina, cioè l’unica economia che poteva sfruttare le lande desolate lasciate libere dai boschi, e verso la dipendenza dal mercato estero, attraverso il cosiddetto “Pecorino Romano”, che a dispetto del nome viene prodotto quasi interamente in Sardegna e quasi totalmente esportato all’estero. La società della Sardegna mutò insieme alla sua ecologia: alluvioni, frane, aridità, recrudescenza della malaria, predisposizione agli incendi, minore fertilità dei campi, peggioramento del clima, sono state le conseguenze. Inoltre la Sardegna, entrando dalla porta di servizio nell’economia di mercato, ha continuato ad essere sfruttata da agenti esterni anche negli anni a venire, perché quando si traccia un sentiero, è difficile uscirne, come ci insegnano le realtà “post-coloniali”: servitù militari, industria pesante ed inquinante, dislocazione di rifiuti, per arrivare fino ai giorni nostri dove si parla dell’isola come “piattaforma per le energie rinnovabili”.
Nel titolo lei parla di “sensi di colpa”. Secondo lei quanto oggi i sardi conoscono sulla storia dei disboscamenti e quanto hanno inciso questi avvenimenti sulla loro determinazione nel difendere il loro territorio dallo sfruttamento esterno delle risorse?
I sardi stanno recuperando, in questi anni, la memoria storica, da sempre obnubilata. Sul problema storiografico sardo si puo’ vedere l’altro mio saggio: “La mano destra della Storia”, Carlo Delfino Editore, e devo dire che il successo di questo libro lo dimostra. È un percorso, tuttavia, ancora lungo, ancora da completare.
Oggi la nuova minaccia, che si fa ogni giorno più concreta, è l’invasione dell’isola di pale eoliche giganti e pannelli fotovoltaici che impatteranno di nuovo molto pesantemente su habitat ed economia. Sembra che la storia, in un certo senso, si stia ripetendo. Che ne pensa?
La Storia, si sa, tende a ripetersi. La Sardegna ancora non è uscita dalla dipendenza dal mercato, e il suo rapporto con lo Stato italiano tende ad essere ancora troppo condizionato da un superiore interesse nazionale che tende a sacrificare la Sardegna, come se non avesse gli stessi diritti delle altre regioni. Per ragioni strategiche e geopolitiche è previsto che la Sardegna si sobbarchi una quota esagerata di impianti per la produzione di energia rinnovabile, devastando così il suo meraviglioso paesaggio, deturpando un patrimonio archeologico e monumentale unico, comprimendo un agroalimentare di eccellenza, e condizionando l’economia turistica. Tutto questo con un sistema di produzione di energia che si teme non avrà ricadute positive sul surriscaldamento globale.
Conclusione
L’ultimo capitolo del libro di Caterini, intitolato “Disboscare il mondo”, si apre con una citazione del Canto dei Pigmei: “Il mio cuore è tutto felice/ il mio cuore si gonfia nel cantare/sotto gli alberi della foresta/ la foresta è la nostra casa/ e la nostra madre”. Un nuovo colpo al cuore sta per essere inferto alla madre terra, in questo caso ai boschi e ai paesaggi di questa isola meravigliosa, che in tanti vorrebbero depredare per le sue risorse, che oggi sono il vento e il sole. L’augurio è che questa volta i sardi riescano a fermare, una volta per tutte, questa invasione spietata, e difendere la propria casa da chi vorrebbe solo saccheggiarla, senza nessun rispetto per l’ambiente e il patrimonio culturale, per poi sparire, lasciando dietro di sè solo deserti, cemento, scheletri di vetroresina e ferro, e anni di impossibile ricostruzione di siti e habitat originali.